Quando le aziende scelgono di intraprendere un percorso verso un business sostenibile, si trovano di fronte al punto di partenza di questo percorso così sfidante, gli ESG.
E’ interessante comprenderne la genesi e gli scopi per avere maggiore chiarezza sul tema.
Iniziamo da James Gifford, l’inventore della sigla che più spesso sentiamo quando si parla di obiettivi legati alla sostenibilità. A capo dell’area sustainable & impact advisory di Credit Suisse, nel 2004 si trovava a Ginevra all’Unep Fi, il programma ONU per le iniziative finanziarie per l’ambiente. Fu proprio in quell’occasione che emerse un dibattito circa la consapevolezza diffusa sull’importanza della sostenibilità ed avvenne in quella sede il vero battesimo del termine ESG.
E dal 2004 fino ad oggi?
Ci sono stati ben tre passaggi cruciali trainanti – ovviamente non i soli, da un dibattito sempre più fervido attorno al tema sostenibilità e possono essere riassunti come segue:
- dicembre 2015: Accordo di Parigi ovvero il trattato internazionale stipulato fra gli Stati membri della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Unfcc inerenti le riduzioni delle emissioni di gas serra;
- 2015: Agenda 2030 da parte delle Nazioni Unite contente i 17 obiettivi, per guidare l’economia globale verso obiettivi ecologici ma anche sociali;
- novembre 2018: firma dell’accordo da parte dei paesi membri con lo scopo di contrastare i cambiamenti climatici.
Ho definito gli ESG un punto di partenza per le aziende perché quando si parla di investimenti sostenibili si fa riferimento alla suddetta sigla, acronimo di Environmental, Social e Governance.
L’Environmental è l’ambiente inteso come il sistema che viene inquinato direttamente o indirettamente dalle attività svolte da un soggetto. Per attuare progetti e attività sostenibili si deve avere chiara la definizione di ciò che è sostenibile dal fronte ambientale.
A tal proposito, l’Unione Europea ha ben pensato di emanare nel 2018 il provvedimento noto come Tassonomia Verde, ossia un sistema di classificazione che stabilisce un elenco di attività economiche ecosostenibili puntando il faro sulle specifiche attività energetiche dei settori del gas e del nucleare.
La dimensione sociale, Social, corrisponde alla responsabilità sociale nei confronti della comunità e dei cittadini e rappresenta, a mio vedere, l’aspetto meno approfondito e attenzionato dalle aziende che pensano al concetto di sostenibilità come ambiente sostenibile. Vero ma parziale e non abbastanza.
Il rispetto dei diritti umani, le relazioni con le comunità locali, la partecipazione alle convenzioni internazionali rappresentano gli aspetti cruciali racchiusi all’interno di questa area.
L’antitrust, le giuste retribuzioni, invece, rientrano nella Governance, nel governo d’impresa inteso come qualità di gestione delle imprese, rispetto dei valori e trasparenza.
Ecco allora che l’interesse da parte delle aziende verso i criteri e i parametri ESG sta diventando sempre più preponderante al fine di poter sviluppare un business con ripercussioni positive sia sulla società che sull’ambiente. Tuttavia, l’attenzione rivolta verso questi parametri, trascina le aziende verso un approccio nuovo al business non più inerente solo il profitto ma anche l’identità stessa dell’azienda e la percezione interna ed esterna. La vera domanda è: sono pronte?
Da questo punto di vista, nel cercare di rendere al meglio il tema legato all’approccio nuovo al business, cito Margaret Wheatley, in Finding Our Way:
“Vogliamo organizzazioni resistenti, flessibili, che si adattano e si autoregolano, che sono capaci di apprendere e sono intelligenti – caratteristiche che si trovano solo in sistemi vivi e vitali. Il dilemma del nostro tempo è che vogliamo organizzazioni che si comportino come sistemi vitali, ma che noi sappiamo solo trattare come macchine”.
Il nuovo approccio al business altro non è che il passaggio da una visione meccanicistica ad una sistemica la quale trae spunto dall’osservazione dei meccanismi vigenti in natura, dall’osservazione di essa. Rappresenta il vero salto da una interpretazione dell’ecosistema azienda come di impresa volta alla vendita/miglioramento dei propri prodotti ad una incentrata sul cambio di paradigma e sul miglioramento del mondo. Un occhio poco attento potrebbe desumere dal cambio di paradigma e di cultura una volontà di non essere più legata alle logiche di profittabilità: sbagliato.
L’economia spinge verso il futuro, verso il progresso della società e dell’ambiente, non si tratta di “non fare più utili” ma di “fare più bene”, di dare un contributo allo sviluppo sostenibile del mondo e della società.
Giunti a questo punto, trovo utile soffermarsi sulla definizione di sostenibilità, così da definire il perimetro dentro il quale ci stiamo muovendo. Inutile dire che ne esistono molte, ne ho scelte due, quelle più calzanti ed utili allo scopo.
«Lo Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni … un miglioramento della Qualità della Vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende» (Rapporto Brundtland del 1987)
e
«Sviluppo sostenibile significa porre gli aspetti ambientali sullo stesso piano di quelli sociali ed economici. Economia sostenibile significa che dobbiamo impegnarci a lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti una struttura sociale, ecologica ed economica intatta» (ONU, Agenda 2030)
Riflettiamo su questo.